
Il brano che presentiamo in questo post occupa un posto di primo piano nella letteratura del tango, sia per la stupenda musica che gli dà vita sia per il poetico testo che ne rappresenta l’anima.
Aníbal Troilo ed Enrique Cadícamo collaborarono solo tre volte nella loro lunga carriera. Si incontrarono con risultati magnifici solo per tre anni di seguito. La prima volta fu nel 1942 con Pa’ que bailen los muchachos, poi nel 1943 con Garúa ed infine l’anno seguente con Naipe.
Era l’epoca in cui Pichuco con la sua orchestra risplendeva nel famoso locale di Buenos Aires El Tibidabo, accompagnato dalla voce consacrata di Francisco Fiorentino e da quella di un giovane ragazzo che iniziava allora a guadagnarsi il soprannome di La Voz de Oro del Tango, Alberto Marino.
Troilo e Cadícamo erano già delle vere e proprie leggende per il tango: da una parte il poeta, con i suoi testi prodigiosi interpretati dalla voce di Gardel, dall’altra il musicista che dirigeva l’orchestra più amata a Buenos Aires, orchestra che custodiva come uno scrigno di velluto il più prezioso dei gioielli, il suo primo bandoneón.
El Tibidabo, ristorante e sala da ballo secondo le pubblicità dell’epoca, cabaret secondo quello che dicevano gli habitués, ospitò la prima esecuzione di Garúa. Era un inverno porteño del 1943, mese di agosto, e le persone in Avenida Corrientes si affrettavano con pesanti cappotti e respiri fumosi per arrivare in tempo per assistere alla nuova creazione di Troilo.
Ecco quello ascoltarono quella notte:
Garúa– Orquesta Aníbal Troilo – canta Francisco Fiorentino – 1943
Il Tibidabo, con la luminosa presenza di Troilo, era presto diventato un luogo di incontro di grandi tangueri. Erano di casa Jose Razzano, Enrique Santos Discépolo, Cátullo Castillo, Homero Manzi, José María Contursi e, tra molti altri, anche Enrique Cadícamo. Una notte, approfittando di un intervallo della sua esibizione, Troilo chiamò Cadicamo e lo invitò a salire in un camerino che i musicisti usavano per cambiarsi. Lì gli fece ascoltare con il solo bandoneón un tango che aveva appena finito di comporre e per il quale voleva trovare un testo. Cadicamo scrisse in poche ore il monstruo, ossia la prima bozza del testo fatto per approssimare la metrica, prima di accordarlo perfettamente con la musica. La notte seguente le parole di Garúa già erano pronte e il poeta propose una modifica delle ultime otto battute per adattarle ai suoi versi fiammanti, modifica che Troilo accettò pienamente.
Leggiamo il bellissimo testo di Garúa ascoltando un’altra interpretazione di Troilo del 1962, questa volta con la stupenda ed intensa voce di Roberto Goyeneche, El Polaco. Le parole di Cadícamo riescono ad evocare in maniera magistrale delle immagini che ci fanno sentire in modo preciso il sapore del sentimento ma al contempo rimangono indefinite nei contorni reali. Si percepisce in maniera esatta lo stato d’animo, magari ripescandolo nel nostro passato, ma non andando più in là di una semplice percezione tutto il resto si confonde come nel ricordo di un sogno. Forse questo è il potere della poesia.
Garúa– Orquesta Aníbal Troilo – canta Roberto Goyeneche – 1962
¡Qué noche llena de hastío y de frío!
El viento trae un extraño lamento.
¡Parece un pozo de sombras la noche
y yo en la sombra camino muy lento.!
Mientras tanto la garúa
se acentúa
con sus púas
en mi corazón…
En esta noche tan fría y tan mía
pensando siempre en lo mismo me abismo
y aunque quiera arrancarla,
desecharla
y olvidarla
la recuerdo más.
¡Garúa!
Solo y triste por la acera
va este corazón transido
con tristeza de tapera.
Sintiendo tu hielo,
porque aquella, con su olvido,
hoy le ha abierto una gotera.
¡Perdido!
Como un duende que en la sombra
más la busca y más la nombra…
Garúa… tristeza…
¡Hasta el cielo se ha puesto a llorar!
¡Qué noche llena de hastío y de frío!
No se ve a nadie cruzar por la esquina.
Sobre la calle, la hilera de focos
lustra el asfalto con luz mortecina.
Y yo voy, como un descarte,
siempre solo,
siempre aparte,
recordándote.
Las gotas caen en el charco de mi alma
hasta los huesos calados y helados
y humillando este tormento
todavía pasa el viento
empujándome.
Che notte piena di astio e di freddo!
Il vento porta uno strano lamento.
Sembra un pozzo di ombre la notte
e io nell’ombra cammino lentamente.!
Mentre la pioggerella
si accentua
con le sue spine
nel mio cuore …
In questa notte tanto fredda e tanto mia
pensando sempre lo stesso mi inabisso
e nonostante voglia strapparla,
disfarla
e dimenticarla
la ricordo di più.
Pioggerella!
Solo e triste per il marciapiede
va questo cuore distrutto
con tristezza da casa in rovina.
Sentendo il tuo gelo,
perché quella, con il suo oblio,
oggi gli ha aperto una crepa.
Perduto!
Come uno spettro che nell’ombra
più la cerca e più la chiama…
Pioggerella … tristezza …
Perfino il cielo si è esso a piangere!
Che notte piena di astio e di freddo!
Non si vede nessuno girare l’angolo.
Sulla strada, la fila di lampioni
lucida l’asfalto con luce moribonda.
E io vado, come uno scarto,
sempre solo,
sempre a parte,
ricordandoti.
Le gocce cadono nella pozza della mia anima
fino alle ossa fradice e gelate
e umiliando questo tormento
persino passa il vento
spingendomi.
Troilo e Fiorentino lo registrarono per la casa discografica Victor il 4 agosto 1943 e due giorni più tardi lo fece per la Odeón la orchestra di Pedro Laurenz con la voce di Alberto Podestà, in un’interpretazione bellissima che può rivaleggiare senza alcun timore con la versione di Pichuco.
Garúa – Orquesta Pedro Laurenz – canta Alberto Podestà – 1943
Abbiamo anche una bellissima versione del mitico Nestor Marconi in un intimo trio con il contrabbasso e la voce fatta di whisky del grande Goyeneche. Le riprese sono tratte dal film Sur del 1988.
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